A 41 anni dall’intervento militare in supporto al legittimo governo democratico progressista Afghano, pubblichiamo l’intervista del Corrispondente della “Pravda” al Segretario L.I. Brezhnev. Un testo importante per comprendere i motivi ed il contesto in cui si è concretizzato il sostegno sovietico alla Repubblica centro-asiatica.
Luca Rossi
Segretario dell’Associazione Culturale Russia Emilia-Romagna
Come valuta l’odierna situazione internazionale, in particolare alla luce degli ultimi passi dell’amministrazione americana?
L’attuazione creativa e coerente da parte del nostro partito della linea di pace, di distensione e di disarmo, per la traduzione in vita del Programma di pace, avanzato dal XXIV congresso del PCUS, ha consentito di raggiungere cospicui risultati. In senso lato, la cosa principale che si è riusciti a fare è spezzare un tragico ciclo: la guerra mondiale — breve intervallo di pace — di nuovo guerra mondiale. Di questo storico risultato abbiamo il diritto di essere orgogliosi noi, cittadini sovietici, i no-stri amici — i popoli dei paesi socialisti fratelli, tutti coloro i quali si sono battuti e continuano a battersi per la pace, la distensione, la coesistenza pacifica di Stati a diverso ordinamento sociale.
Tuttavia, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 la situazione internazionale, purtroppo, è diventata sensibilmente più complessa. I popoli devono conoscere la verità, cioè chi ne è responsabile. Risponderò senza reticenze: la colpa ricade sulle forze imperialistiche, e prima di tutto su determinati circoli USA, su coloro che vedono nella distensione un ostacolo alle loro mire aggressive, all’istigazione della psicosi militarista, alla ingerenza negli affari interni di altri popoli, su coloro nei quali è radicata profondamente l’abitudine di comportarsi senza tante cerimonie con altri Stati, di agire nell’arena internazionale come se a loro fosse tutto permesso. Da un certo tempo appare evidente che i circoli dirigenti degli USA e di alcuni altri paesi della NATO hanno adottato una linea, ostile alla causa della distensione, una linea di istigazione della corsa agli armamenti, che porta all’aggravamento del pericolo militare. L’inizio a ciò fu posto già nel 1978, nella sessione di maggio del consiglio della NATO a Washington, nella quale venne approvato un incremento automatico dei bilanci militari dei paesi suoi membri fino alla fine del XX secolo. Le tendenze militariste nella politica degli USA hanno trovato ultimamente la loro espressione anche nell’accelerazione dei nuovi programmi di riarmo a lungo termine, nella creazione di nuove basi militari ben lungi oltre i confini degli Stati Uniti, compreso nel Medio Oriente e nella regione dell’Oceano Indiano, nella formazione del cosiddetto « corpo di pronto intervento » — questo strumento di politica di ingerenza militare. Prendiamo, ad esempio, un documento così importante come il trattato Salt-2. La sua traduzione in vita aprirebbe la via ad importanti passi nel campo del disarmo. Questo trattato, come è noto, ha ottenuto appoggio in tutto il mondo, compreso tra gli alleati degli USA nella NATO, in vasti settori dell’opinione pubblica internazionale. Come si è comportata a questo proposito l’amministrazione di Jimmy Carter? Non appena il trattato venne firmato, negli USA si cominciò a discreditarlo, e il processo di ratifica venne in sostanza sfruttato dagli avversari del trattato — non senza connivenza dei circoli governativi degli USA — per ostacolare al massimo la sua ratifica. Con la decisione presa pochi giorni fa di congelare a tempo indeterminato l’esame del trattato Salt-2 nel Senato il presidente Carter ha aggiunto un altro dettaglio a questo processo negativo. Sono stati precisamente gli Stati Uniti a imporre, nel dicembre 1979, ai loro alleati nella NATO la decisione di installare in alcuni paesi dell’Ovest europeo nuovi mezzi missilistico-nucleari a medio raggio, la qual cosa porta ad una nuova impennata della corsa agli armamenti.
Tra l’altro Washington chiudeva letteralmente la bocca a quei suoi alleati, che tendevano ad ac-cogliere positivamente le proposte costruttive dell’Unione Sovietica nei negoziati su detta questione. Oggi gli avversari della pace e della distensione tentano di speculare sugli avvenimenti nell’Afghanistan. Attorno a questi avvenimenti vengono accumulate montagne di menzogne, viene scatenata una spudorata campagna anti-sovietica. Che cosa è avvenuto in effetti nell’Afghanistan? Nell’aprile 1978 sì è compiuta in questo paese una rivoluzione. Il popolo afghano ha preso il proprio destino nelle sue mani, ha imboccato la via dell’indipendenza e della libertà. Come sempre avviene nella storia, le forze del passato si sono scagliate contro la rivoluzione. Naturalmente il popolo dell’Afghanistan sarebbe riuscito a sconfiggerle da solo. Tuttavia, fin dai primi giorni della rivoluzione il popolo si è scontrato con un’aggressione esterna, con una brutale ingerenza nei suoi affari interni. Migliaia e migliaia di ribelli, armati e addestrati all’estero, intere formazioni armate vennero trasferiti sul territorio dell’Afghanistan. L’imperialismo insieme con i suoi accoliti ha iniziato, in sostanza senza dichiararla, una guerra, contro l’Afghanistan rivoluzionario. L’Afghanistan ha chiesto con tenacia che l’aggressione cessasse, che gli fosse consentito di costruire serenamente una nuova vita. Opponendosi all’aggressione esterna, i dirigenti afghani, già durante la presidenza di Tarakì, e successivamente si sono rivolti reiteratamente all’Unione Sovietica perché prestasse il suo aiuto. Noi da parte nostra abbiamo ammonito chi di dovere che, se l’aggressione non fosse cessata, non avremmo lasciato nei guai il popolo afghano. E come si sa le nostre parole non divergono dai fatti. Le azioni degli aggressori contro l’Afghanistan sono state favorite da Amin, il quale, essendosi impadronito del potere, scatenò feroci repressioni contro vasti ceti della società afghana, i dirigenti di partito e militari, i rappresentanti dell’intellighenzia, del clero musulmano, — ovvero contro quei ceti, su cui poggiava la rivoluzione afghana. Il popolo sotto la guida del Partito democratico popolare con alla testa Babrak Karmal si è sollevato contro la tirannia di Amin, ha posto fine ad essa. Oggi a Washington e in altre capitali si rimpiange Amin. E ciò smaschera con particolare evidenza la loro ipocrisia. Dove erano queste « prefiche » quando Amin compiva repressioni di massa, quando allontanò con forza dalla carica e sterminò fisicamente Taraki — il fondatore del nuovo Stato afghano? L’incessante intervento armato, il grave complotto delle forze esterne della reazione creano una reale minaccia di perdita da parte dell’Afghanistan della sua indipendenza, di una sua trasformazione in caposaldo militare imperialista sul confine meridionale del nostro paese. In altre parole, giunse il momento, in cui non potemmo più ignorare la richiesta del governo dell’Afghanistan amico. Agire diversamente avrebbe significato dare l’Afghanistan in preda all’imperialismo, permettere alle forze aggressive di ripetere qui ciò che erano riusciti a fare, ad esempio, nel Cile, dove la libertà del popolo venne affogata nel sangue. Agire diversamente avrebbe significato osservare passivamente co-me sul nostro confine meridionale stava sorgendo un focolaio di grave minaccia alla sicurezza dello Stato sovietico. Rivolgendosi a noi, l’Afghanistan si atteneva alle precise clausole del trattato di amicizia, di buon vicinato e di cooperazione, stipulato dall’Afghanistan con l’URSS nel dicembre 1978, sul diritto di ogni Stato, in conformità con lo Statuto dell’ONU, alla autodifesa individuale o collettiva — un diritto del quale hanno fruito reiteratamente altri Stati. Non è stato per noi facile prendere la decisione di inviare contingenti militari sovietici nell’Afghanistan. Ma il Comitato centrale del partito e il Governo sovietico hanno agito con piena consapevolezza della loro responsabilità, tenendo conto dell’insieme delle circostanze.
L’unico compito posto ai contingenti sovietici è stato quello di aiutare gli afghani a respingere l’aggressione esterna. I contingenti saranno ritirati completamente dall’Afghanistan non appena cadranno i motivi, che hanno indotto i dirigenti afghani a richiedere il loro ingresso nel paese. La propaganda imperialistica, nonché quella di Pechino travisano intenzionalmente e spudoratamente il ruolo dell’Unione Sovietica negli affari afghani. Ovviamente, non c’è mai stato né c’è un « intervento » o una « aggressione » dell’URSS. C’è un’altra cosa: noi aiutiamo l’Afghanistan, su richiesta del suo governo, a difendere l’indipendenza nazionale, la libertà e l’onore del proprio paese dalle azioni armate aggressive provenienti dall’esterno. Inoltre gli interessi nazionali o la sicurezza degli Stati Uniti d’America e di altri Stati non sono affatto lesi dagli avvenimenti nell’Afghanistan. Tutti i tentativi di presentare le cose in modo diverso è, un assurdo. Essi vengono intrapresi con intenti malevoli al fine di facilitare la realizzazione; di proprie mire imperialistiche. Sono assolutamente false anche le affermazioni secondo cui l’Unione Sovietica avrebbe dei piani espansionistici nei riguardi del Pakistan, dell’Iran o di altri paesi in questa regione. A noi è estranea la politica e la psicologia dei colonialisti.
Noi non desideriamo le terre altrui, non aspiriamo ad impadronirci di ricchezze al-trui. Sono i colonialisti a fiutare invece l’odore del petrolio. Appaiono farisaici i tentativi di blaterare sul-la « minaccia sovietica alla pace » e di presentarsi quali difensori della morale internazionale da parte di coloro che hanno nel loro stato di servizio la « sporca guerra » nel Vietnam; di coloro che non hanno mosso un dito, quando gli aggressori cinesi hanno compiuto l’invasione armata nel Vietnam socialista; di coloro che da decenni mantengono una base militare sul suolo di Cuba — in contrasto con la volontà del suo popolo e del suo governo, di coloro che agitano le armi, minacciano assedi, esercitano una aperta pressione militare sul popolo rivoluzionario iraniano, avendo inviato verso le coste dell’Iran una flottiglia di navi da guerra, dotate di armi atomiche, incluso un numero considerevole di portaerei statunitensi. Ed ecco l’ultima cosa che si può dire a questo proposito. L’ingerenza negli affari interni dell’Afghanistan è realmente in atto, e viene sfruttata per essa un’alta e stimabile istituzione come l’Organizzazione delle Nazioni Unite. In effetti che cosa altro è se non un brutale calpestamento dei diritti sovrani del popolo afghano l’esame della cosiddetta « questione afghana » all’ONU, nonostante le obiezioni del governo dell’Afghanistan?
II governo afghano e il suo autorevole rap-presentante all’ONU dichiarano a piena voce: lasciateci in pace, i contingenti militari sovietici sono stati introdotti su nostra richiesta e in conformità con il trattato sovietico-afghano e l’articolo 51 dello Statuto dell’ONU. Nel frattempo dietro lo scalpore viene intensificato l’aiuto a quegli elementi, che irrompono nell’Afghanistan, compiono azioni aggressive contro il potere legittimo. La Casa Bianca ha annunciato poco fa apertamente la sua decisione di ampliare a questi elementi la fornitura di armi e di tutto il necessario per svolgere attività eversiva. La stampa occidentale informa che nel corso dei colloqui a Pechino il ministro della difesa degli USA ha cercato di mettersi d’accordo con i dirigenti cinesi sul coordinamento di tali azioni. Concludendo sull’argomento dell’Afghanistan, occorre dire che la reazione ostile delle forze imperialistiche agli avvenimenti nell’Afghanistan non è una cosa inattesa. Il fatto è che è stata battuta la carta sulla quale puntavano gli imperialisti e i loro complici. In una parola, gli avvenimenti nell’Afghanistan non sono il vero motivo dell’attuale complicarsi della situazione internazionale. Se non ci fosse l’Afghanistan, determinati circoli degli USA, della NATO, avrebbero probabilmente escogitato un altro pretesto per inasprire la situazione nel mondo.
Infine, il totale dei passi dell’amministrazione americana in merito agli avvenimenti nell’Afghanistan, — il congelamento del trattato Salt-2, il rifiuto di fornire una serie di merci. compresi i cereali all’URSS in base a contratti già stipulati, la cessazione dei negoziati con l’Unione Sovietica su alcune questioni riguardanti le relazioni bilaterali ecc. — testimonia che Washington tenta di nuovo, come decenni fa, di usare con noi il linguaggio della « guerra fredda». L’amministrazione americana manifesta cosí il suo spregio per importanti documenti, firmati tra i due Stati, compromette i legami instaurati nel settore della scienza, della cultura, dei contatti umani. È difficile persino elencare quanti trattati, accordi intergovernativi, intese raggiunte tra i nostri due paesi su questioni concernenti le mutue relazioni in vari settori, siano stati violati arbitrariamente e unilateralmente negli ultimi tempi dal governo del presidente Carter. Noi, ovviamente, possiamo fare a meno di questi o quei legami con gli Stati Uniti — e in genere non li abbiamo mendicati, ritenevamo la faccenda reciprocamente vantaggiosa e rispondente agli interessi comuni dei popoli dei no-stri paesi, prima di tutto nel senso del consolidamento della pace. L’arbitrario conferirsi da parte di Washington del diritto di a premiare » o di « punire » Stati sovrani indipendenti pone una questione di principio. Con simili azioni il governo USA infligge di fatto un colpo al sistema giuridico internazionale che regola le relazioni tra gli Stati. In seguito a queste azioni dell’amministrazione Carter nel mondo ci si fa un’idea sempre più precisa degli Stati Uniti come di un partner assolutamente non valido nei legami interstatali, come di uno Stato, i cui dirigenti, indotti da capricci o spinte emozionali, o da grette considerazioni di vantaggio immediato, sono capaci in qualsiasi momento di violare i propri impegni internazionali, di cancellare i trattati ed accordi da loro firmati. È superfluo dover spiegare quale azione destabilizzante ciò può avere su tutta la situazione internazionale, tanto piú quando a comportarsi cosí è una grande ed influente potenza, dalla quale i popoli hanno il diritto di attendersi una politica meditata e responsabile. Naturalmente, queste azioni dell’amministrazione USA non ci arrecheranno affatto quel danno, sul quale contano chiaramente i loro promotori. I cinici calcoli sul « peggioramento » della situazione con i generi alimentari nell’Unione Sovietica in seguito al rifiuto degli Stati Uniti di venderci i cereali si basano su concetti assurdi del nostro potenziale economico. Il popolo sovietico dispone di sufficienti possibilità per vivere e lavorare tranquillamente, per adempiere i piani fissati, per elevare il proprio benessere. In particolare, posso assicurare che non saranno diminuiti di un solo chilogrammo i piani di approvvigionamento dei sovietici con pane e prodotti di panificazione. Non possiamo considerare gli atti dell’amministrazione americana altrimenti, che come un tentativo mal ponderato di sfruttare gli avvenimenti nell’Afghanistan per bloccare gli sforzi internazionali miranti a diminuire il pericolo di guerra, a consolidare la pace, a limitare la corsa agli armamenti — in altre parole, per bloccare ciò, a cui è interessata in modo vitale l’intera umanità. Le misure unilaterali, adottate dagli USA, equivalgono a seri errori in politica. Alla stregua di un boomerang esse, se non oggi, domani, colpiranno coloro che le hanno progettate. Se con tutti questi attacchi alla nostra politica si vuole saggiarne la solidità, ciò significa che si ignora totalmente l’esperienza della sto-ria. Quando nel 1917 nacque il primo Stato socialista nel mondo, il nostro popolo non chiese in merito permesso a nessuno. Anche oggi esso decide da sé in base a quali leggi vuole vivere. L’imperialismo ha cercato di metterci alla pro-va già agli albori del sorgere del potere sovietico. E tutti ricordano come la cosa fini. Han-no cercato di piegarci gli aggressori fascisti nel-la piú sanguinosa delle guerre, che ha vissuto l’umanità. Ed essi sono falliti. Ci hanno sottoposto a prove durante gli anni della « guerra fredda », spingendo il mondo verso il baratro, scatenando una crisi internazionale dietro l’altra, ma anche allora nessuno è riuscito a piegarci. Tutto ciò sarebbe utile ricordarlo oggi.
Quali sono, a suo avviso, le prospettive dell’evolversi della situazione in Europa?
La situazione in Europa è oggi assai migliore di come si presentava, diciamo, all’inizio degli anni ’70. Tuttavia le ultime azioni irresponsabili di Washington si rispecchiano ovviamente anche qui. Gli Stati Uniti non si accontentano di fare quasi tutto il possibile per avvelenare le relazioni sovietico-americane. Essi vorrebbero guastare le relazioni anche dei paesi dell’Europa occidentale con l’Unione Sovietica, — relazioni, nelle quali, come è noto, nell’ultimo decennio sono stati conseguiti non pochi risultati utili. Gli Stati Uniti tentano di compromettere lo spirito e la lettera dell’atto finale di Helsinki, considerato un traguardo nel consolidamento della sicurezza e nello sviluppo della cooperazione pacifica nel continente. E, infine, con i propri passi, tesi ad inasprire la situazione internazionale, Washington persegue lo scopo di calpestare gli Stati europei, in primo luogo i propri alleati. Tuttavia, gli interessi radicali dei popoli europei sono indissolubilmente legati alla distensione. Gli europei hanno conosciuto sulla propria esperienza i suoi benefici frutti. Essi sono abitanti di un continente, che non poche volte è stato devastato da guerre distruttrici e non sono affatto pronti — ne siamo convinti — ad imboccare la via delle avventure per volontà dei politici di oltreoceano. Non si può credere che in Europa si trovino degli Stati, i quali desiderino gettare i frutti della distensione ai piedi di coloro che li vorrebbero calpestare. La distensione in Europa è necessaria agli Stati dell’Occidente ed anche agli Stati Uniti, in misura non minore che ai paesi socialisti, all’Unione Sovietica. In Europa si può fare parecchio di costruttivo a vantaggio della pace nel prossimo futuro, in particolare, in merito all’incontro di Madrid e alla proposta dei paesi del patto di Varsavia di convocare una conferenza per la distensione militare e il disarmo. Noi siamo risolutamente favorevoli al consolidamento ed all’aumento di ciò che è stato creato di positivo nel corso degli anni nel continente europeo con gli sforzi collettivi degli Stati grandi e piccoli. Noi continue-remo a fare una politica di pace e d’amicizia fra i popoli. Contrariamente all’odierna posizione estremista di Washington, la nostra posizione consiste nel continuare le trattative cominciate negli ultimi anni in molti settori per far cessare la corsa agli armamenti. Naturalmente, ciò riguarda anche i problemi dell’attenuazione della contrapposizione militare in Europa. Ripeto: noi siamo favorevoli a trattative, ma a trattative oneste, con uguali diritti, nel rispetto del principio dell’uguale sicurezza. Queste erano appunto le trattative che recentemente avevamo proposto di cominciare riguardo alla questione dei mezzi nucleari a medio raggio. Nessuno si può aspettare che l’Unione Sovietica accolga le condizioni della NATO, miranti a trattare da posizioni di forza. L’odierna posizione dei paesi della NATO rende impossibili le trattative su questo problema. In questi giorni l’abbiamo detto ufficialmente al governo degli USA. Noi guardiamo all’avvenire con ottimismo, ed è un ottimismo giustificato. Noi comprendiamo che l’intenzionale inasprimento della situazione internazionale, voluto dall’imperialismo americano, esprime il suo scontento per il rafforzamento delle posizioni del socialismo, per l’ascesa del movimento di liberazione nazionale, per il rafforzamento delle forze che propugnano la distensione e la pace. Noi sappiamo che la volontà dei popoli attraverso tutti gli ostacoli si è aperta la strada verso quell’orientamento positivo negli affari mondiali, che è espresso dalla parola « distensione ». Tale politica ha profonde radici. L’appoggiano forze potenti e questa politica ha tutte le possibilità di restare la tendenza dominante nei rapporti fra gli Stati. Il nostro popolo e il nostro paese avanzano con fermezza sulla via dell’edificazione comunista, adempiendo i compiti del decimo piano quinquennale e le indicazioni del partito. I sovietici e i nostri amici all’estero possono essere certi che la politica estera leninista è costante. Essa è definita dalle decisioni dei congressi del PCUS e s’incarna in tutta la nostra attività di politica estera. Questa politica combina una coerente volontà di pace con una ferma opposizione alle aggressioni. Essa si è giustificata ne-gli ultimi decenni e continueremo a farla. Nessuno ci farà abbandonare questa linea.
(Pravda, 12 gennaio 1980)