Abbiamo raggiunto Andrea Fais, Direttore Responsabile della rivista “Scenari Internazionali”, trimestrale cartaceo specializzato in economia e politica internazionale, giunto ormai al suo settimo anno di attività.
Il nuovo numero di “Scenari Internazionali” è interamente dedicato alla Federazione Russa. Nonostante le diverse sanzioni applicate dall’Unione Europea (sotto la pressione statunitense) la Russia rimane un partner fondamentale per l’Italia. L’”endorsement” di Lavrov al presidente Conte ne è testimonianza. Ritiene che in un futuro prossimo il nostro Paese proseguirà questa striscia positiva nei rapporti con Mosca?
Nell’intervista con l’Ambasciatore Razov siamo partiti proprio da questo dato, ovvero la continuità nella ricerca di buone relazioni con la Russia al di là dei colori o delle tendenze politiche dei governi che si alternano, pur con eccessiva frequenza, a Roma. Tra i principali attori protagonisti europei, l’Italia può vantare un rapporto particolare con Mosca, che ha radici nel passato e risale addirittura ai primi architetti italiani, come Aristotele Fioravanti, Antonio Gilardi o Pietro Antonio Solari, che durante il Rinascimento contribuirono alla realizzazione di importanti cattedrali o edifici in terra russa svolgendo, più o meno ufficialmente, un ruolo diplomatico ed interculturale tra alcuni Stati preunitari della Penisola e il Principato di Moscovia.
Le relazioni italo-russe non si sono quasi mai interrotte, con le uniche eccezioni della Guerra di Crimea e della Seconda Guerra Mondiale. Da allora, la striscia è sempre stata sostanzialmente positiva, con un’intensificazione negli anni Sessanta del secolo scorso, ed ancora oggi la Russia rappresenta un mercato fondamentale per la nostra economia, a partire dalle forniture energetiche, ambito in cui possiamo logicamente diversificare, come sta avvenendo tramite il Corridoio Meridionale del Gas, ma non certo sostituire un esportatore con un altro.
Nella sezione Focus vi è un articolo in cui si parla di innovazione e diversificazione, relativamente alle sfide globali che affronta e affronterà la Russia. Ritiene che i ritardi accumulati dalla fine dell’Unione Sovietica, dal punto di vista industriale e tecnologico, rispetto all’Europa e agli Stati Uniti da una parte, ed alle economie asiatiche dall’altra, possa essere colmato definitivamente in un futuro prossimo?
Come spiegato nell’articolo cui fate riferimento, la Russia è ancora in una condizione di ritardo rispetto ai Paesi e alle regioni capofila dell’innovazione tecnologica citati. Eppure il Paese dei cremlini sta correndo molto più velocemente di quanto si creda in tale direzione. Il sistema economico russo soffre, com’è noto, la mancanza di un tessuto esteso e altamente competitivo di piccole e medie imprese, a fronte del predominio dei giganti energetici e finanziari.
La classe media nata sotto il sistema sovietico era fondamentalmente composta da un ceto impiegatizio o dirigenziale pubblico. Dopo il crollo dell’URSS, dunque, la nuova Russia ha dovuto creare una cultura imprenditoriale praticamente da zero. All’inizio questo processo di modernizzazione, privo di un indirizzo strategico preciso e di un impianto di riforme ben strutturato, generò quasi soltanto squilibri e diseguaglianze sociali.
Oggi, invece, il divario in termini di innovazione e diversificazione rispetto ai Paesi occidentali e alle economie asiatiche più avanzate comincia a ridursi in modo significativo. Centri di innovazione come quello di Skolkovo rappresentano molto più di un semplice incubatore-acceleratore di start-up. Sul fronte della digitalizzazione, inoltre, la Russia ha compiuto passi da gigante negli ultimi quindici anni, come attestano i più recenti dati a riguardo.
Il Made in Russia with Italy, nuova formula che indica una diversa tipologia di investimento, a Suo giudizio ha apportato significativi cambiamenti nei rapporti commerciali tra i nostri due Paesi?
Indubbiamente, le sanzioni e controsanzioni hanno giocato, assieme al calo del rublo e al conseguente calo della domanda interna russa, un ruolo fondamentale in questo senso perché hanno indotto la Russia ad accelerare il processo di diversificazione ed avviare un vasto programma di import substitution.
Lo stop all’importazione di prodotti agroalimentari dall’UE deciso da Mosca in risposta alle sanzioni europee ha messo in difficoltà tantissime nostre imprese di settore. Alcune di queste hanno così colto l’opportunità di aprire nuove linee di produzione direttamente in Russia, da sole o attraverso joint-venture con aziende locali, per poter continuare a vendere i propri prodotti in quel mercato, scoprendo anche le opportunità garantite dalle numerose zone economiche speciali sparse nel Paese. Chiaramente, e questo è spiegato nel numero, non è un percorso per tutti: ci sono moltissime altre imprese che, per ragioni economiche o semplicemente di processo, non possono trasferire la produzione e sono state costrette a rivedere i loro piani di export.
Ad ogni modo, il Made with Italy è un fronte ormai aperto che non riguarda e non riguarderà soltanto l’agroalimentare. Tanto più che proprio nel 2015, quasi al termine di un biennio turbolento per la Russia, è definitivamente entrato in vigore il trattato dell’Unione Economica Eurasiatica, un mercato unico composto da Russia, Kazakhstan, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan, che moltiplica le opportunità per le imprese che vi operano.
L’Unione Economica Eurasiatica, pur essendo strutturalmente diversa dall’Unione Sovietica, prosegue sulle stesse direttrici geopolitiche, includendo come Paese osservatore la Repubblica di Cuba. Un’ulteriore crescita di tale area potrà insidiare o comunque mettere in discussione il modello di unificazione economica europeo?
Noi ci siamo limitati a ripercorrere il cammino storico che ha portato all’Unione Economica Eurasiatica, lasciando ai lettori la piena libertà di stabilire se i due mercati comuni sono destinati a diventare partner oppure competitor.
La nascita dell’UEE è arrivata alla fine di un lungo processo, inizialmente lento e poco coordinato, di integrazione regionale ispirato proprio al modello istituzionale europeo. L’obiettivo, proposto in seno alla CSI, era quello di ricostruire uno spazio economico comune tra le repubbliche ex sovietiche disponibili a partecipare. L’idea più vicina a ciò che l’UEE incarna oggi nacque dalla mente dell’ex presidente kazako Nursultan Nazarbayev che, con grande lungimiranza, ne intravide le opportunità già nel 1994. I tempi, però, non erano maturi. Oggi, invece, tutto sta cambiando rapidamente. Superata la fase critica iniziale, l’UEE ha cominciato a mettere sul tavolo una serie di accordi commerciali con Paesi molto importanti, a partire dalla Cina. Alcuni sono stati conclusi, altri sono ancora in fase negoziale.
Come sappiamo, il tentativo di coinvolgere in qualche modo l’Ucraina nel processo di integrazione eurasiatica è finito male, con violenze di piazza, un golpe ai danni dell’ex presidente Janukovich ed un’escalation politico-militare che ha innescato l’annessione russa della Crimea e il conflitto nel Donbass. Per collocazione geografica e peso demografico-industriale, Kiev avrebbe potuto svolgere un ruolo strategico di hub tra Unione Europea ed Unione Eurasiatica. Alzato un muro verso la Russia, resta in vigore soltanto l’Accordo di Associazione con l’UE ma le riforme strutturali richieste da Bruxelles non sono questione semplice né di poco tempo e, malgrado il sostegno della BERS, l’Ucraina è ancora oggi il Paese europeo più povero. Ne è valsa la pena?